Si è detto di Sant’Efisio come festa enciclopedica, simultanea apertura annuale di tutti i forzieri della tradizione. Ma Sant’Efisio è festa delle feste anche perché compendio di tutti gli elementi qualificanti delle celebrazioni tradizionali, loro paradigma completo.
C’è il Santo intercessore, l’offertorio popolare, la processione rituale, il suo allungarsi in pellegrinaggio, il santuario fuori porta, la durata plurigiornaliera delle celebrazioni, il repertorio di preghiere dedicate. C’è il voto: Sant’Efisio è missa e promissa (1). Cioè festa ex voto suscepto (conseguente alla promessa assunta) e l’occasione dell’impegno solenne collettivo fu l’epidemia di peste che si abbattè sulla Sardegna alla metà del Seicento.
Ma i meriti di Efisio erano già cari ai sardi da lungo tempo. Da quando, soldato di Diocleziano – a seguito di una visione celeste che gli notificò, con due stimmate in forma di croce e di foglia di palma sulle mani, il martirio futuro – si rifiutò di eseguire gli ordini e di angariare i cristiani della nostra isola. Se ne interessò l’imperatore in persona, che lo fece imprigionare e torturare. Ma Efisio non cedette. Né il ferrò pagano poté segnarne le carni; gettato in una fornace ne uscì invece temprato.
Per vincerlo bisognò decapitarlo.
Avvenne a Nora, città costiera prima punica poi romana, dove in ricordo sorse l’omonima chiesa campestre, oggi di impianto protoromanico ma su una presumibile precedente costruzione alto medievale, cioè di un tempo più prossimo ai fatti. Un santuario di fondazione dunque, non di quelli il cui edificio è sopravvivenza di precedente centro abitato, ma di quelli che invece rimontano a una deliberata edificazione su misura. Riferita, in questo e in altri casi, a un singolo episodio notevole.
E che come tutti i santuari campestri – almeno nella rigida divisione tradizionale sarda tra tra villam e saltus (nucleo abitato e campagna) – costituisce mediazione e ricomposizione di un dualismo: tra il colto e l’incolto, tra l’ordine umano e la potenza disordinata della natura, tra il sacro e il profano. E nel suo ruolo di avamposto morale, in questa fattispecie paleocristiana, stabilisce il segno durevole della buona novella vittoriosa sulle insidie pagane.
In quest’ottica dualistica la chiesetta di Nora può essere considerata santuario campestre di Cagliari, come osserva Giulio Angioni. E di questa geografia spirituale disegnata dalla costellazione di santuari campestri della Sardegna, ai primi di maggio assurge senz’altro a capitale.
Alla sua volta, con trenta chilometri da percorrere, la processione cittadina diventa pellegrinaggio.
In una prima di cinque tappe, presso la chiesetta della spiaggia di Giorgino, il Santo lascia i paludamenti da parata e gli ori votivi di cui è carico, per indossare le più modeste vesti da campagna, casomai i pirati al largo lo avvistassero per approdare e rapinarlo.
Così, lungo l’arco morale che separa dalla meta si spengono i colori e si prosegue in un camminare silenzioso e confidente, guidato della cerchia ristretta del Santo in esercizio confirmatorio di dedizione privilegiata.
Seguono gli avventizi del voto, che invocano ancora un’eccezione per sé, fiduciosi di trovarsi nel luogo dove il Santo può accorgersi più facilmente di loro.
De Casteddu appassionau Di Cagliari appassionato
Sempri siais difensori Sempre siate difensore
Sighei a essiri intercessori, Continuate a essere intercessore,
Efis Martiri sagrau. Efisio Martire consacrato.
Così recitano i goccius(2). Dove Efisio, come ogni santo di elezione popolare, è definito “intercessore”. Parola che il lessico liturgico attinge dalla nomenclatura giuridica, nella quale significa precisamente “garante”. E a dare uno sguardo più a fondo, all’origine latina del termine, ben si capisce come la sua adozione teologica si sia arricchita di un senso duplice: inter cedere significa “passare attraverso”, ovvero squarciare la frontiera tra la terra e il cielo e additare alla sovrabbondante grazia divina il varco attraverso il quale mostrarsi quaggiù (come tipicamente testimoniano gli ex voto dipinti); ma anche significa “mettersi tra”, cioè frapporre una mano misericordiosa fra i rovesci della vita e i salvati.
Ecco che laddove il dipinto votivo deposto nel tempio P.G.R.(3) può considerarsi fotogramma di sventura singolare e personale preghiera illustrata, la “sfilata” di Sant’Efisio, e poi il suo allungarsi in pellegrinaggio, è supplica plenaria e dinamica, intero film. A dare evidenza estrema all’aspetto essenziale di tutti gli ex voto (esclusi quelli segreti): essere certificazione pubblica di un debito contratto in un momento difficile, da esibire al Santo ma soprattutto agli occhi di tutti: offerti al cielo ma rivolti alla comunità. Della quale la sagra di Sant’Efisio in un certo senso costituisce la meravigliosa e vasta historia illustrata.
Bruno Piras
Note
1) Messa e promessa. Qui con casuale ma felice pertinenza dell’etimo condiviso, risalente alla formula di commiato del rito ecclesiale (ite, missa est = andate, è stata inviata) in uso proprio ai tempi di Efisio, quando il cristianesimo perseguitato scioglieva l’agape non appena l’eucarestia era stata appunto “inviata” (missa) all’esterno, verso coloro che, per divieto, prudenza o impossibilità, non erano potuti convenire.
2) Versi di preghiera tradizionale in sardo.
3) Per Grazia Ricevuta, sigla che contassegna gli ex voto deposti nelle chiese.